È possibile ottenere performance superiori rispetto al mercato? Secondo il factor investing, sì. Questa strategia di investimento esiste da diversi anni, ma continua a suscitare dibattiti e perplessità.
In questo articolo, analizzeremo in dettaglio il factor investing, spiegandone il funzionamento, i vantaggi, i rischi e le critiche. Cercheremo di capire se questa strategia di investimento conviene davvero e come può essere applicata nel proprio portafoglio.
Il factor investing è una strategia di investimento che seleziona i titoli in base a specifiche caratteristiche (fattori) storicamente associate a rendimenti superiori. L’idea alla base è che determinati fattori possano generare performance migliori rispetto al mercato nel lungo termine, sfruttando inefficienze sistematiche nei prezzi dei titoli.
In finanza, il rendimento di un investimento è generalmente proporzionale al rischio assunto: maggiore è il rischio, maggiore può essere il rendimento atteso. Questo concetto si basa sulla relazione rischio-rendimento, secondo cui gli investitori richiedono un premio per accettare un rischio più elevato. Il factor investing sfrutta questa relazione cercando di isolare i fattori di rischio che offrono un rendimento aggiuntivo nel tempo.
Il factor investing viene spesso chiamato smart beta, poiché rappresenta un approccio più sofisticato rispetto alla replica passiva e comporta un'esposizione mirata al rischio di mercato.
Lo smart beta rappresenta un'evoluzione dell'investimento passivo tradizionale. Mentre gli ETF tradizionali replicano indici basati sulla capitalizzazione di mercato, gli ETF smart beta utilizzano criteri diversi per selezionare e ponderare i titoli, basandosi su fattori come valore, dimensione, volatilità e qualità. Proprio per questa ragione, il factor investing punta a migliorare il rapporto rischio-rendimento rispetto agli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato, pur mantenendo una gestione sistematica e regole trasparenti, senza ricorrere a un modello puramente attivo.
Il factor investing si fonda su principi sviluppati nel tempo attraverso studi finanziari e modelli teorici. Alla base di questa strategia vi sono due concetti chiave:
Questi concetti furono formalizzati nel Capital Asset Pricing Model (CAPM), sviluppato negli anni '60, che definisce la relazione tra rischio sistematico e rendimento atteso. Il CAPM postula che il rendimento atteso di un titolo sia funzione del tasso di rendimento privo di rischio, del beta e del premio per il rischio di mercato.
Nel corso del tempo, i limiti del CAPM hanno portato alla nascita di modelli più avanzati. Nel 1992, gli economisti Eugene Fama e Kenneth French svilupparono il modello a tre fattori, che aggiungeva due nuove variabili per spiegare meglio i rendimenti:
Successivamente, nel 2015, Fama e French ampliarono il modello con il modello a cinque fattori, includendo:
Questi modelli hanno fornito le basi teoriche per il factor investing, dimostrando che fattori specifici possono spiegare meglio le differenze nei rendimenti tra i titoli rispetto al solo beta di mercato. Oggi, gli investitori utilizzano queste conoscenze per costruire portafogli più efficienti, cercando di sfruttare sistematicamente i fattori che hanno mostrato storicamente di generare valore.
La ricerca accademica ha individuato diversi fattori che possono influenzare i rendimenti di un portafoglio. I principali includono:
Molti fondi e investitori combinano più fattori per creare strategie multifattoriali, come il modello a tre o cinque fattori di Fama e French, o strategie che uniscono titoli sottovalutati e di piccola capitalizzazione. Oltre ai fattori tradizionali, esistono anche altri fattori emergenti, tra cui gli ESG (Environmental, Social, Governance) e gli SRI (Socially Responsible Investing), che mirano a integrare considerazioni etiche e di sostenibilità nelle strategie d'investimento. Altro fattore spesso considerato è il dividend yield, che privilegia titoli con alti dividendi.
Negli anni, il numero di fattori individuati è aumentato considerevolmente, portando al fenomeno noto come Factor Zoo. Questo termine descrive la proliferazione di centinaia di fattori, molti dei quali non possiedono basi teoriche solide o una robusta evidenza empirica per essere considerati validi.
Alcuni fattori possono emergere come risultato di p-hacking, ossia l'uso eccessivo di analisi statistiche per trovare correlazioni nei dati storici che non hanno una reale validità predittiva. In altre parole, mentre alcuni fattori si sono dimostrati robusti nel tempo, altri sono solo il frutto di adattamenti ai dati passati che non si ripetono in futuro. Per questo motivo, è essenziale valutare attentamente la validità e la rilevanza di un fattore prima di includerlo in una strategia d'investimento.
Oggi esistono numerosi fondi e ETF basati su fattori, rendendo questa strategia più accessibile anche agli investitori individuali. Gli ETF fattoriali sono spesso considerati strumenti semi-attivi, perché si collocano a metà tra la gestione passiva e quella attiva.
In genere, un ETF fattoriale segue un indice fattoriale, che viene costruito selezionando dall'indice tradizionale solo i titoli che rispondono a un determinato fattore. Ad esempio, un ETF che replica l'indice MSCI World Value includerà esclusivamente i titoli sottovalutati dell’MSCI World. In questo caso, il fondo è passivo poiché si limita a replicare l'indice, mentre l'indice stesso è più attivo in quanto prevede una selezione mirata dei titoli dall'indice di riferimento.
D'altra parte, esistono i classici ETF fattoriali a gestione attiva, dove il gestore del fondo seleziona, dal suo benchmark, direttamente i titoli che ritiene più rappresentativi del fattore.
Questa differenza nell'approccio di gestione ha un impatto diretto sulla diversificazione del portafoglio. Gli indici tradizionali, costruiti con un criterio di capitalizzazione di mercato (market cap weighted), tendono a dare maggiore peso alle aziende con la capitalizzazione più elevata. Questo porta a una concentrazione del portafoglio su poche grandi aziende, riducendo l'esposizione a società di dimensioni più ridotte o con caratteristiche particolari.
Con il factor investing, invece, la selezione dei titoli non si basa esclusivamente sulla capitalizzazione, ma su caratteristiche specifiche, come valore, qualità o bassa volatilità. Questo approccio consente una maggiore diversificazione, distribuendo l’esposizione su una gamma più ampia di titoli, incluse aziende più piccole o sottovalutate, che potrebbero offrire un potenziale rendimento superiore.
Uno studio di AQR Capital Management descrive il factor investing come un posizionamento "sull'altro lato delle preferenze degli investitori", in quanto permette di accedere a segmenti di mercato spesso trascurati dagli indici tradizionali, offrendo opportunità di rendimento alternative e una riduzione della concentrazione su poche grandi aziende.
Come ha performato il factor investing rispetto agl'indici pesati per capitalizzazione? Il grafico seguente mostra l'andamento dell'indice MSCI USA e dei suoi indici fattoriali: small cap, quality, momentum e value. Analizzando i dati, possiamo osservare le differenze nei rendimenti e capire come ciascun fattore abbia reagito nel tempo ai cambiamenti di mercato.
Dal grafico si nota che la maggior parte dei fattori ha sovraperformato l'indice tradizionale, con small cap, quality e momentum che hanno mostrato rendimenti più elevati. Tuttavia, il fattore value, a partire dal 2015, ha avuto una performance inferiore rispetto all'indice ponderato per capitalizzazione. Questo evidenzia una caratteristica fondamentale del factor investing: i fattori possono attraversare cicli di sovraperformance e sottoperformance. È importante ricordare che le performance passate non garantiscono rendimenti futuri e che il successo di una strategia fattoriale dipende dall'orizzonte temporale e dalla capacità di mantenere l'investimento nei periodi di volatilità.
Uno degli aspetti più critici del factor investing è la sua ciclicità, che dipende non solo dalle dinamiche di mercato, ma anche da fattori macroeconomici come inflazione, tassi di interesse e crescita economica. Nessun fattore sovraperforma in modo costante e il loro rendimento può variare nel tempo in base ai cambiamenti nel contesto economico globale. Ad esempio:
Proprio a causa di questa ciclicità, per beneficiare appieno di una strategia basata sui fattori, è necessario un orizzonte temporale molto lungo. Studi accademici suggeriscono che i fattori tendono a funzionare meglio su periodi superiori ai 20 anni, poiché solo nel lungo termine le fasi di sottoperformance vengono compensate da quelle di sovraperformance. Tuttavia, questa caratteristica può rappresentare un ostacolo per chi ha esigenze di liquidità nel breve termine o ha una minore tolleranza alla volatilità del mercato.
Un altro problema è l’effetto del sovraffollamento: se troppi investitori adottano la stessa strategia fattoriale, i rendimenti futuri possono ridursi. La crescente popolarità di un fattore può spingere i prezzi dei titoli associati a livelli eccessivi, riducendo il potenziale di guadagno e aumentando il rischio di bolle speculative. Inoltre, molte strategie fattoriali si basano su dati storici per dimostrare la loro efficacia, ma i risultati ottenuti dai backtest non garantiscono performance future. Un fattore che ha sovraperformato in passato potrebbe fallire se le condizioni di mercato cambiano o se la sua diffusione ne riduce l’efficacia.
Nel tempo, inoltre, sono stati identificati centinaia di fattori, molti dei quali con basi teoriche poco solide. Questo rende difficile per gli investitori distinguere i fattori realmente validi da quelli che potrebbero essere semplici artefatti statistici. Inoltre, le definizioni e i metodi di calcolo dei fattori variano tra le diverse società di gestione, aumentando l’incertezza e rendendo più complessa la selezione degli investimenti.
Anche i costi sono un aspetto da considerare con attenzione. Gli ETF fattoriali possono comportare spese più elevate rispetto agli ETF tradizionali, sia per le commissioni di gestione che per i costi di transazione. Il Total Expense Ratio (TER) copre il costo annuo di gestione del fondo, ma non include tutte le spese effettive. Per avere una visione più completa, è essenziale consultare il KIID (Key Investor Information Document), dove vengono specificati anche i costi di transazione, spesso trascurati. Il factor investing richiede frequenti ribilanciamenti per mantenere l’esposizione ai fattori desiderati, il che può aumentare i costi di acquisto e vendita dei titoli e incidere sulla performance complessiva del portafoglio.
Il factor investing può offrire rendimenti superiori perché implica un'esposizione a rischi più elevati. Ad esempio, le azioni delle small cap tendono ad avere un potenziale di guadagno maggiore rispetto alle large cap, ma sono anche più vulnerabili alle crisi economiche, con molte aziende che non sopravvivono nel lungo periodo. Allo stesso modo, fattori come il value o il momentum possono portare a rendimenti superiori nel tempo, ma potrebbero esporre l’investitore anche a fasi di sottoperformance prolungata. Per questo motivo, chi investe nei fattori deve essere consapevole della maggiore volatilità e della possibilità di attraversare periodi in cui i rendimenti risultano inferiori rispetto al mercato nel suo complesso.
Tuttavia, come ben sottolineato in un articolo di Dedaloinvest, che analizza le opinioni di Rick Ferri e Marcos López de Prado sul factor investing, la diversificazione è un elemento chiave per costruire un portafoglio solido. Ferri sostiene che la maggior parte degli investitori dovrebbe concentrarsi sull'intero mercato tramite indici ponderati per capitalizzazione, evitando eccessive esposizioni a strategie fattoriali che possono risultare inefficaci nel breve termine. López de Prado, invece, critica il factor investing per la sua dipendenza da metodi statistici obsoleti e per il rischio che molti fattori identificati in passato non siano realmente sostenibili nel futuro. Di conseguenza, un approccio prudente prevede di partire con un'esposizione ampia al mercato totale e destinare solo una piccola percentuale del portafoglio alle strategie fattoriali, generalmente tra il 5% e il 20% a seconda della tolleranza al rischio e dell’orizzonte temporale dell’investitore. Questo consente di beneficiare del potenziale extra rendimento dei fattori senza compromettere la stabilità complessiva dell’investimento.
In definitiva, il factor investing può essere una strategia utile, ma non infallibile. Il segreto per investire con successo non è inseguire le mode, ma adottare un approccio ponderato, disciplinato e coerente con i propri obiettivi finanziari. Oltre a offrire potenziali rendimenti superiori grazie all'esposizione a specifici fattori di rischio, il factor investing può anche essere utilizzato per migliorare la diversificazione, aumentando l'esposizione a segmenti di mercato meno rappresentati nei tradizionali indici ponderati per capitalizzazione. Se gestito con attenzione e affiancato a un'esposizione di base al mercato totale, può contribuire a rendere il portafoglio più equilibrato e migliorare il rapporto rischio-rendimento.